Aguzzare lo sguardo: re pizzell re ‘spallece

Prima di Pasqua, a Pasqua e Pasquetta, negli anni ’80 e ’90, c’erano pomeriggi soleggiati in cui ci si armava di busta e coltello e si partiva con le mamme di tutti i cugini e mia nonna materna a fa i ‘spallece ncòpp’ a pont re Succer*.

 La nonna – a boss – e un drappello di bambini tutto intorno era la vista di chi percorreva la salita e tutta la punta di Solchiaro o di chi si inoltrava nella sterpaglia re ‘ncòpp’ a re Peragn**. Bisognava starle intorno alla nonna, perché poi se la volevamo chiamare, lei non sentiva. Era così da quando aveva 6 anni. Tutti scandivamo per bene le parole in ventotenese allargando la bocca e assicurandoci che lei ci stesse guardando quando le parlavamo.

A boss aveva, non so se per compensare l’udito difettoso, una vista da lince. Per la ricerca degli asparagi questa sua caratteristica era di grande aiuto “U uillann! Là, là, nun hai vist?*** ci comunicava entusiasta indicandoci un asparago inondato di spinelle che noi proprio non riuscivamo a vedere. E noi bambini ci fiondavamo su quel tesoro appena scorto dalla nonna e lo raccoglievamo a mani nude, senza usare i coltelli portati dalle mamme.

La nonna aveva avuto una dura vita di osservatrice e aveva imparato a cucinare variando quanto più possibile i piatti da proporre al marito procidano e a tutt re criatur, usando le risorse del territorio. Prima di Procida e oltre i confini della sua Ventotene natale, aveva avuto un’esperienza in Sardegna, a casa di una vera matriarca. Mia nonna mi raccontava sempre che quando le figlie di questa signora sempre bardata di nero uscivano per fare la spesa, la madre sputava in terra e sentenziava “dovete fare ritorno a casa prima che la mia saliva si sia asciugata!” La nostra boss, nonostante il carisma e la schiettezza, a confronto era la più dolce delle madri e delle nonne. Quando parlava della cucina di quell’esperienza sarda di miseria da dopoguerra, sottolineava la monotonia dei pasti del giorno e dei giorni con un “Cicere ‘a matin, cicere pe’ miezziuorn, cicere ra ser, e cicereniavan semp!****. Con gli asparagi lei ci faceva il più delle volte la frittata, con uova e parmigiano, oppure ci preparava una specie di minestra, con la cipolla e ‘n’uov a zuppetedd. Mia madre, invece, con questa preziosissima verdura selvatica ci ha sempre preparato le frittelle, re pizzell re spallece come quelle che facevano mia nonna paterna e zia Sceriffo.

Asparagi selvatici – Foto by @cucenellista

L’odore delle pizzelle di asparagi fa pensare alle cene delle sere di primavera a Procida, di quando nei campi si respira il profumo delle fave, altro elemento preponderante dei pasti del periodo. Per il fatto di essere vegetariane, queste frittelle, almeno sulla tavola di casa, trovano sempre posto per il pranzo o la cena del Venerdì Santo. 

Re pizzell re spallec raccontano ricordi delle due nonne: le scampagnate per trovare gli asparagi con mia nonna materna, le frittelle preparate nella cucina di mia nonna paterna. 

Il ricordo della ricerca degli asparagi durante i pomeriggi assolati dell’infanzia di Solchiaro con la guida della nonna è un costante invito, ancora oggi, ad aguzzare lo sguardo per scorgere e prendere le cose belle anche se si devono scansare le spine a mani nude.

Ingredienti per 4 persone

  • 1 uovo
  • 1 mazzetto di asparagi selvatici (corrispondente a 500 g)
  • 5 cucchiai di farina
  • Una manciata di parmigiano grattugiato
  • Mezzo bicchiere di acqua minerale frizzante
  • 2 cucchiai di acqua di cottura degli asparagi (prima di aggiungerla, bisogna farla raffreddare) Sale q.b.
  • Pepe q.b.
  • Olio di semi di girasole (ricoprire il fondo della padella)

Procedimento

Pulire gli asparagi, eliminando la parte del gambo più dura e spezzarli in piccoli pezzi.

Metterli a cuocere in una pentola piena d’acqua. Da quando inizia l’ebollizione, calcolare 10-15 minuti. Scolarli e lasciare da parte un po’ di acqua di cottura che sarà diventata verde.

In una ciotola, sbattere le uova, aggiungere il sale, il parmigiano e il pepe e continuare a sbattere. Aggiungere gradualmente la farina, mescolare bene e aggiungere gli asparagi. Amalgamare il tutto e aggiungere due cucchiai di acqua di cottura. Continuare a mescolare, quindi, aggiungere l’acqua frizzante.

Osservare la consistenza della pastella, se troppo liquida, aggiungere qualche cucchiaio di farina. Far riscaldare l’olio di semi di girasole in una padella antiaderente.

Preparazione delle pizzelle – Foto by @cucenellista

Prelevare con l’aiuto di un cucchiaio piccole porzioni di pastella per dare forma alle frittelle e versarle nell’olio caldo. Far dorare le frittelle su ambo i lati, per girarle, aiutarsi con due forchette. Quando le pizzelle risultano belle dorate, prelevarle dall’olio caldo con una schiumarola e metterle ad asciugare per qualche minuto su carta assorbente. Mangiarle quando sono ancora ben calde. 

“Guardar Mais” è la canzone per questo piatto. La cantautrice capoverdiana Sara Tavares l’ha scritta ricordando sua nonna. Interpretata qui dalla voce di Mayra Andrade, altra personalità di spicco della musica capoverdiana contemporanea. Il testo originale è in portoghese.

Tentativo di traduzione in nota *****

Re ‘ncòpp’ a re Peragn**: Le Peragne sono una zona di Solchiaro, particolarmente incolta negli anni ’80 e 90′.

A fa i ‘spallece ncòpp’ a pont re Succer*: A raccogliere gli asparagi sulla punta di Solchiaro.

U uillann! Là, là, nun hai vist?***: “Eccolo lì! Lì, lì! Non lo hai visto?”

Cicere ‘a matin, cicere pe’ miezziuorn, cicere ra ser, e cicereniavan semp!****: “Cieci a colazione, ceci a pranzo, ceci a cena, si mangiavano ceci in continuazione!” Cicereniavn” era un termine inventato da mia nonna, buffo e molto efficace nel descrivere la situazione dei ceci per tutti i pasti. Difficile da tradurre in italiano.  

*****”Custodirti ancora”

Dio ti protegga
Non posso più custodirti
Soffio tutto
Non posso più trattenerti
La Saudade è già arrivata
E si dondolava sulla sedia a dondolo di nonna Eugenia
Nessuna crisi può durare per sempre
Voglio aria per ballare ancora
Se fa male, soffia un po’ di calore
Non c’è dolore che possa resistere alla sedia a dondolo di nonna Eugenia
Non c’è crisi che possa durare per sempre
Voglio aria per ballare di più
Se fa male, soffia un po’ di calore
Nessun dolore può resistere al dondolio di nonna Eugenia

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