Re Ferdinando Amma cucenà

Da autodidatta a colonna portante solida e creativa del ristorante Re Ferdinando: Anna Di Matola, cuoc@ nostrom@ d’inverno

Anna Di Matola è la colonna portante del Re Ferdinando Steak house, nato da un’idea di suo figlio Sonnino a Procida. Lo scorso agosto ho avuto il piacere di conoscerla e intervistarla sulla terrazza del ristorante che gestisce insieme alla famiglia. Grazie a lei, ho ricostruito un altro pezzetto della storia di Procida, legata non solo alla cucina, ma anche alle persone che stabiliscono un legame profondo con l’isola anche senza nascerci. 

Vi invito a leggere la piacevole chiacchierata qui di seguito.

Cucinellista: Come nasce Re Ferdinando, mi può raccontarne un po’ la storia?

Anna: Re Ferdinando nasce nel 2007. Io lavoravo già in albergo, perché mio marito ha l’hotel Riviera. Mio suocero, nel 1990, mi disse “Senti Anna, vedi che il cuoco se n’è andato, potresti venire ad aiutarci un paio di serate?” all’epoca si faceva pensione completa, quindi non potevamo lasciare tutti i clienti allo sbando, non sarebbe stato redditizio e poi avremmo fatto una figuraccia. Da allora, ho iniziato il mio cammino: praticamente era il 1992 quando ho iniziato ufficialmente a lavorare, sono una autodidatta e ho sempre amato la cucina, mi sono sempre documentata. Adesso si trova tutto su internet, ma io tengo milioni e milioni di libri accatastati. Dal 1992 ho fatto tanti matrimoni, cerimonie e tutti erano contenti della mia venuta nella cucina del Riviera. Lì ci sono rimasta 13 anni. Poi mio figlio Sonnino si è fatto grande e a un certo punto mi ha detto: “Mamma, perché non apriamo un ristorante nostro”, così è nato Re Ferdinando.

Il nome Re Ferdinando si ispira al Re che veniva a caccia a Procida, però la verità è che Ferdinando è mio padre che, avendo avuto due figlie femmine, non ha potuto tramandare il nome: questo è il figlio maschio di mio padre.

Foto by @Lo staff di Re Ferdinando

C: Voi siete principalmente una steak house: perché questa scelta, che poi è risultata vincente, visto che la vostra carne è un prodotto molto buono?

A: Mio figlio mi ha sempre detto quello che andava e quello che non andava a Procida: venendo da una cultura turistica, ereditata dall’esperienza della pensione completa, visto che avevo a che fare con i turisti e non con i procidani, non sapevo cosa potesse piacere agli isolani. Invece mio figlio, da ragazzo, aveva imparato a capire cosa poteva piacere o meno ai procidani, soprattutto ai ragazzi, quindi immaginava che la steak house potesse essere una scelta vincente. D’estate, poi, io faccio anche il ristorante, mentre d’inverno, per i procidani, mantengo principalmente lo steak house e la paninoteca, anche perché il procidano non è abituato ad andare al ristorante: a Napoli ci si va la domenica, per i giorni di festa… Qua no, qua si riuniscono tutti in casa e solamente i giovani vanno al ristorante il sabato e nei giorni di festa. Quindi ho ascoltato mio figlio che era giovane, è lui il titolare, io sono la manovalanza, diciamo. Come dicevo, oltre allo steak house, d’estate comunque tengo gruppi turistici selezionati, una bella clientela, persone che vengono sempre. Il prezzo non è proprio base, perché io do le materie prime buone, non quelle di scarto – non lo so che fanno gli altri, vabbè – comunque a me costa e a loro pure costa. Così manteniamo la nostra clientela e la gente rimane contenta perché quando paga, quello ha, c’è un rapporto giusto tra la qualità e il prezzo.

Foto by @Lo staff di Re Ferdinando

C: Quali sono gli altri piatti forti di Re Ferdinando oltre alla carne? 

A: Dato che io amo la cucina, non ho piatti forti, nel senso che a me se mi dici “Sient’Anna, vedi che io domani voglio essere cucinato ‘nu coccodrillo!” io te lo cucino tranquillamente… Non voglio fare la buffona, ma non ho limiti: essendo autodidatta, ho imparato le proporzioni per i matrimoni anche di 200 persone quasi da un giorno all’altro e mi è uscito così naturale e le persone mi dicono “Anna, tu cucini per uno, per cento o per mille è sempre tale e quale”. Certamente consumo le cose in modo adeguato, non mi rimane mai una cosa perché l’ho cucinata in più oppure non ce n’è mai in meno, che il cliente rimane insoddisfatto che non l’ha avuta, anzi, io dico sempre meglio in più che in meno. 

C: Sì era anche un valore di mio padre, quando dovevamo fare una festa a casa diceva sempre meglio prevedere cose in più che in meno. 

Tornando a noi, lei è l’anima di Re Ferdinando: come nasce la sua passione per la cucina, c’è un’influenza da parte dei suoi genitori o di qualcuno della famiglia?

A: Allora ti parlo di mia madre: non so se tu sai che il cinema Procida Hall prima si chiamava cinema Moderno: noi siamo venuti da Napoli a Procida per gestire il cinema Moderno. Quando siamo arrivati sull’isola io avevo circa 10 anni e mio padre ha gestito il cinema per 18 anni. Prima, mio padre era un autotrasportatore e noi in famiglia non lo vedevamo mai. Allora un giorno, rivolgendosi a mio zio, la cui famiglia aveva in gestione diversi cinema a Napoli, disse “Senti, Salvatò, cerca di farmi stare vicino alle mie figlie, vicino alla mia famiglia” e trovarono questa gestione a Procida, perché il Cavaliere disse “io non ce la faccio più a gestire il cinema” e gli concesse la gestione del cinema Moderno, che poi noi abbiamo tenuto come dicevo per 18 anni. Mio padre portava la macchina del cinema e mia madre stava alla cassa, io e mia sorella eravamo bambine, quindi io cucinavo per lei, poi veniva mia nonna da Napoli e io preparavo la cena, poi piano piano ho iniziato anche a occuparmi dei pranzi di famiglia, perché mia madre era stanca, si ritirava tardi, anche perché l’ultima recita del cinema si faceva a mezzanotte, quindi tornava a casa verso l’una o le due e io preparavo per tutti quanti, anche se ero una ragazzina di 12 anni. 

C: Quindi che periodo era quello legato al cinema Moderno?

A: Noi abbiamo iniziato a gestire il cinema Moderno nel 1970 e io avevo 9 anni e infatti mi ero iscritta in quinta elementare qui a Procida, invece mia sorella Marina aveva 2 anni. Quindi siamo venute sull’isola per il lavoro di mio padre, poi mia madre lo aiutava e io, per aiutare loro quando rincasavano ho iniziato a cucinare. 

C: Come ho notato l’altra sera, voi qui lavorate a conduzione familiare. Come sono stati trasmessi l’amore e i valori legati alla cucina nella vostra famiglia?

A: Devi sapere che io a Procida non ho parenti, ho solo mia sorella, e l’ho aiutata molto a crescere i suoi figli, visto che lei fa l’infermiera, con turni di 24 ore. Allora io, durante le feste, ci tengo a mantenere le tradizioni – tipo a Natale, a Pasqua -, preparando tutto quello che si fa per il pranzo di Natale o per la vigilia dalle nostre parti e anche mia figlia ci tiene, quindi abbiamo fatto circolare questo amore e i valori della tradizione culinaria tra figli e nipoti (figli di mia sorella). Per i dolci, in realtà, ci pensa più mia figlia, perché prendono tempo, io faccio più che altro i lievitati, i casatielli e tutte queste cose qua. 

C: Che differenza trova tra la clientela estiva e quella invernale?

Foto by @Lo staff di Re Ferdinando

A: Da 5 anni abbiamo un gruppo di operai che vengono a pranzo tutti i giorni. Praticamente devono riprendere il vecchio Arcate (si chiamerà il San Luigi) e ce ne saranno altri di operai, ne saranno tantissimi. Per loro cucino cose napoletane, cose di casa: per noi è un piccolo salvadanaio, soprattutto d’inverno, perché aspettare solo il sabato, con la clientela solo procidana non è che ci si arricchisce. Non ho mai chiuso le luci e l’attività nemmeno nei periodi bui di crisi, durante il covid ho fatto l’asporto e anche durante le crisi economiche come quella del 2008 eravamo riusciti a rimanere aperti. D’estate, invece, ci sono sia clienti nuovi che storici, alcuni tornano e dicono “signò vi ricordate di me, vi sono venuto a trovare?” oppure al telefono “signora, ma come, non ci sta posto? Io sono venuta apposta a Procida?” Poi vogliono stare tutti quanti sulla terrazza, ma quant’è ‘sta terrazza? [ride, rido anch’io] E se uno non ha posto sulla terrazza è come se si offendessero. Se poi li mettiamo da un’altra parte, pare che gli stiamo facendo una tortura, allora meglio che salgono, guardano la situazione e scelgono loro dove mettersi.

C: Secondo lei quali sono i punti di forza del ristorante, che fanno in modo di farlo durare nel tempo?

A: Penso che il ristorante resiste nel tempo grazie alla mia caparbietà, perché la mattina è il mio primo pensiero: comincio a organizzarmi e a vedere quello che manca, anche quando tengo tutto, allora faccio tutto l’approvvigionamento in mente, è come un mio esercizio mentale e poi sono al lavoro sempre alla stessa ora, anche se non ho da fare una cosa, me la creo, devo fare sempre qualcosa. A volte i miei figli mi dicono “Mamma, ma perché non ti riposi?” io rispondo sempre che a riposare non ce la faccio, mi bastano sempre quelle poche ore, perché il lavoro fa bene alla mente e al corpo.

C: Adesso arriviamo alle ultime due domande che sono un po’ comuni a tutte le persone che incontro. A cosa le fa pensare l’espressione “amma cucenà”?

A: Amma cucenà sempre, sono le prime parole, come se uno dicesse “mamma”, è proprio una cosa che ti esce dall’anima, una cosa viscerale e recondita, fa parte proprio del nostro essere selvaggi, amma cucenà ci fa sentire radicati alla terra. 

C: Per finire, io chiedo sempre una canzone che le persone associano alla cucina o che ascoltano mentre cucinano. Qual’è la sua canzone?

A: In realtà mentre sto lavorando la musica può disturbarmi un poco, perché faccio relazioni mentali, però quando sono rilassata, mi piacciono Baglioni, Pino Daniele, Gigi D’Alessio. Dovendo scegliere una canzone dico “Strada facendo” di Baglioni. 

Leave a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*