cala cala

La forza di racconti dal sapore antico: il fantastico progetto “Cala cala” della squadra di Salvatore Costagliola Di Polidoro, cuoc@ nostrom@ di aprile

Salvatore, Carolina, Angelo e Lucio sono la fantastica squadra che ha messo su la bellissima struttura del Cala cala rooms & farm experience (anche su instagram). Per cuoc@ nostrom@ di aprile ho avuto la fortuna e l’onore di intervistare Salvatore, il capitano di questa piccola grande nave, salpata da poco e che di sicuro andrà molto lontano. Come sempre con le interviste di cuoc@ nostrom@, ho imparato tantissime cose che non conoscevo e ho sorriso quando Salvatore ha parlato di suo padre (maestro di mio fratello alle elementari) e ho chiuso l’intervista dicendogli “salutami tua moglie e tua suocera”… Di loro due ho un ricordo bello di un viaggio condiviso, anche con mia madre e mio fratello, per andare a trovare i papà imbarcati sulla stessa nave. Per dire che a Procida ci (ri)conosciamo pure se non ci vediamo da anni e anche questa è la forza della comunità. 

Vi invito a leggere questa piacevole e ricca chiacchierata e a scoprire la ricchezza del progetto Cala cala di questa bellissima famiglia.

La foto di copertina e tutte le foto di questo post sono state scattate da Tommaso Lubrano (ecco il suo account instagram e la sua pagina facebook).

Cucenellista: Innanzitutto partiamo dal nome della vostra struttura, che ha qualcosa in comune con Amma Cucenà. Da dove vi è venuta l’idea di chiamarla così?

Salvatore: Allora, la struttura si chiama Cala cala rooms and farm experience, nome ispirato alla pratica del Cala cala che Amma cucenà conosce benissimo, perché già ne ha raccontato. Questa antica forma di baratto avveniva già negli anni 800, in realtà in tutti i Campi Flegrei,  tra i contadini e i pescatori: si faceva questo scambio di prodotti senza soldi. Dato che abitavo, prima di sposarmi, in questa casa dove poi abbiamo fatto la struttura, il cala cala era una cosa di cui da piccolo ho sentito parlare dalle persone che si riunivano nel cortile. Tanti vecchietti che facevano gli agricoltori, i contadini riportavano questi racconti, su queste forme di baratto primordiale, di tutte le pratiche che avvenivano già durante la prima guerra mondiale, la seconda guerra mondiale, quando purtroppo per loro non c’erano soldi. Quindi, questa pratica mi è entrata dentro da subito, da piccolissimo, grazie ai racconti di questi vecchietti che si riunivano insieme a mio nonno.  

C: E il progetto com’è nato?

S: Per 25 anni ho gestito il GM bar insieme ad altri 2 soci, poi mi sono occupato anche del Sarracino Catering con altri 2 soci (sempre con Pio e Leonardo). Poi, a un certo punto, ho sentito il bisogno di cambiare e di cercare nuovi stimoli: noi abitavamo in questa casa in affitto, con quei fitti antichi dove si dava anche una parte del raccolto, come avveniva un po’ in tutta Procida e quindi, insieme ai miei due fratelli, abbiamo deciso di  acquistarla. Questa casa è stata messa in vendita e abbiamo acquistato tutto il palazzotto,  che poi, in realtà, era dove sono nate mia mamma e sua nonna, addirittura. Quindi da lì è partita, poi, l’idea di creare una struttura ricettiva. Un po’ alla volta abbiamo ottenuto il permesso per la piscina, per una cucina al chiuso e poi da lì è scaturita tutta la cosa.

In realtà ho una passione per la cucina fin da piccolissimo, perché all’età di 14 anni ho cominciato a lavorare al ristorante La Medusa che è di mio zio (l’ultima gestione di Altafini, diciamo). Lì ho potuto iniziare a coltivare questa passione smisurata per la cucina. Quando avevo 19 anni, quindi, terminata la scuola superiore, mio zio partecipò a una gara d’appalto con la capitaneria, per cercare di tenermi a lavorare anche d’inverno. La perse e mi disse “Salvatò, io ora non ti posso più tenere, ti sei fatto grande, devi lavorare, devi prendere una tua strada, ti posso garantire lavoro solo d’estate”(all’epoca il turismo durava solo il tempo di quei famosi 50 giorni dell’estate) e sempre tramite suo cognato, che all’epoca era uno dei gestori del GM, mi buttai in questa avventura e a 21 anni acquistai la quota del bar – premettendo che non c’ero mai entrato in un bar. Mi dicevo “è un lavoro che mi piace, amo stare tra la gente, cercare di fare qualcosa di diverso, ho sempre avuto molti stimoli, molto entusiasmo. Quindi, la passione per la cucina parte da quel momento. Poi, una volta fatto il GM, con Pio, amici e colleghi decidemmo di fare una cosa insieme e rilevammo l’ex Bel Ami per fare una ristorazione differente, una sala per cerimonie, banchettistica, ma ci è andata male perché non l’abbiamo mai aperta quell’attività. Quindi, per recuperare l’indebitamento che ci eravamo accollati con i lavori del Bel Ami, abbiamo fatto una società di catering. La passione per la cucina ce l’ho quindi da piccolo, come dicevo, però non l’ho mai praticata in realtà, se non di contorno nel catering, perché poi essendoci Pio, che è un’istituzione a Procida, tra i più bravi chef che ci sono, ho imparato qualcosa anche da lui. Ho imparato qualcosa anche da Libera del Melograno, perché noi avevamo individuato come responsabile di cucina per quel locale proprio Bruno tuo cugino. A tal proposito, lo mandammo a fare uno stage al Melograno, quindi anche io, insieme a Mario Scotto Di Carlo, il figlio di Giovannino Sprint che doveva fare il responsabile di sala (ora è in Messico, ha aperto un ristorante lì) cercavo di carpire, di “rubare un po’ il mestiere”, solo guardando, ascoltando. Questo è stato un po’ il mio percorso fino a oggi.  

C: Che posto ha attualmente la cucina nella vostra struttura e che posto avrà in futuro? 

S: Attualmente la cucina ha un posto solo nelle ore diurne, nel senso che la proporremo a pranzo solo per gli ospiti della nostra struttura. L’anno prossimo, invece, apriremo anche agli ospiti esterni e anche la sera.

In realtà cos’è successo: noi abbiamo partecipato a un finanziamento “resto al sud”, ma c’è stato un rallentamento a causa di una questione legata al numero civico (le solite cose burocratiche italiane). Avevamo già la brigata di sala e di cucina complete per aprire anche, già da quest’estate, agli ospiti esterni e la sera. A dicembre, però, proprio tra Natale e Capodanno, mi sono reso conto che mi portava dei ritardi questo rallentamento e quindi dissi “ragazzi, io vi voglio liberare, in modo che voi avete tempo di trovare un’altra situazione e se volete, la porta è sempre aperta e ci aggiorniamo l’anno prossimo” e così sarà.

Il mio progetto, che inizieremo già da quest’anno con gli ospiti nelle ore diurne, prevederà la cucina antica procidana, fatta con i prodotti del nostro giardino che il mio papà Eduardo coltiva ancora sapientemente e molto proficuamente. Come piatti di cucina antica procidana, quindi, proporremo l’insalata di limoni preparata rigorosamente nel mortaio, come veniva fatta una volta.

Insalata di limoni preparata col mortaio – Foto by Tommaso Lubrano Photography

Facciamo anche uno spaghetto ai 5 pomodori, con 5 varietà di pomodori diversi, con 5 cotture e preparazioni diverse: partiamo dalla materia prima, cerchiamo di elaborarla un po’, ma sempre con l’attenzione per quella materia prima e per i nostri prodotti. Il nostro menù, a pranzo, cambierà quasi di giorno in giorno, perché il giardino non è un supermercato: oggi la puoi tenere una cosa e domani va a finire che non ci può stare. Abbiamo le uova, stiamo ripiantando e riprendendo delle colture che la regione Campania incoraggia a riprendere perché sono in via d’estinzione, tipo il pomodoro lampadina. Ho fatto una ricerca insieme all’assessorato all’agricoltura di Procida, il quale mi ha coinvolto anche in un direttivo, proprio per cercare di riprendere queste cose.

La prossima estate, nel lavoro serale del ristorante alla carta, aperto anche agli ospiti esterni, vorremmo partire dalla cucina antica procidana, dalla materia prima, ma farla in una chiave rivisitata. Mi spiego meglio: ora farò uno spaghetto al pesto di limoni (Bruno, in realtà, si è ispirato anche a una ricetta assaggiata a casa mia per creare il pesto di limoni che ora è in commercio). Poi, la sera, farò un risotto con 7 consistenze di limone: partiamo sempre dalla materia prima, ma con due versioni, due visioni differenti.

Foto by Tommaso Lubrano Photography

Ci sarà una grandissima attenzione al vino, perché in questi anni mi sono diplomato sommelier professionista (ma per passione, per me non è un vanto, anzi… È un continuo studio), per proporre un discorso sui vini più naturali come si facevano una volta ed eliminare un po’ tutta questa cosa dei vini convenzionali dove possono essere presenti, per la legge italiana, se ricordo bene, fino a 500 sostanze chimiche per alterarli. 

C: Come vi organizzate attualmente con la cucina per gli ospiti? Quali pasti proponete? Chi li prepara?

S: In cucina ci siamo io e mia moglie, che negli ultimi 3 anni ha lavorato nel ristorante La Medusa, quindi ha preso dimestichezza in cucina pure lei. Sarà un menù composto di insalate, sandwich e main course cioè piatto principale, a seconda di quello che ci sarà a disposizione… Parmigiana di melanzane con la mozzarella di bufala, ora, ad esempio ci stanno fave da accompagnare con pancetta che ho preso a Procida, da quegli ultimi maiali che vengono allevati (me la sono fatta conservare), oppure con caciotta di latte di bufala che ho preso sempre in questo mio giro enogastronomico creato negli ultimi anni di vari contatti. I piatti saranno quindi divisi in queste tre cose e poi ci sarà una sezione dedicata alla frutta, ma quella che c’è nel giardino (non lo sappiamo qual’è), insieme a un gelato della linea Grom, di prodotti più naturali come si facevano una volta, con meno conservanti.

I nostri valori saranno, in sintesi: un’attenzione alla naturalità, una lotta allo spreco alimentare, usare tutto di tutto. Per farti un esempio, del prezzemolo prendiamo le foglie, poi dei gambi ci facciamo una salsa al prezzemolo che poi possiamo anche essiccare e fare delle decorazioni. Questo sarà un po’ il nostro progetto.

Foto by Tommaso Lubrano Photography

Per quanto riguarda le insalate, ne abbiamo una classica che io ho chiamato “insalata Cala cala”, quella di patate, pomodoro, cipolla… come si faceva una volta, che penso che gli ospiti, soprattutto stranieri, ma soprattutto quelli che non sono abituati a questi sapori, apprezzeranno. Noi facciamo anche l’origano, poi ho comprato un olio extravergine di Ravece, che è una cultivar presente solo in Campania, nella zona irpina di Avellino, che è un olio extravergine con forti sentori di foglia di pianta di pomodori e di carciofo. Già adesso, quindi, inizieremo a fare un discorso molto incentrato sulla materia prima, sulla ricerca della materia prima, perché quello che non abbiamo noi – sempre in questo percorso che ho fatto – lo sono andato a ricercare. Ti porto un esempio: accompagnerò l’aperitivo, per chi vorrà farlo, con delle peschiole che sono delle pesche nane del presidio slow food della zona del casertano, di Vairano. Si tratta di pesche nane che, ancora acerbe, vengono messe sott’aceto. Si presentano ora, al consumo, come se fossero delle olive. Le portai già una volta al bar: quando si mangiano uno si aspetta di trovare il nocciolo dentro, che poi invece non c’è, perché essendo piccolina, la pesca, non ha fatto in tempo a crearsi il nocciolo duro. Poi ci saranno dei lupini di Vairano fatti in acqua di mare e delle conserve di terra e di mare. 

C: Che ruolo ha secondo te la cucina nell’accoglienza in una struttura e più in generale in un posto?

S: Per quanto riguarda l’accoglienza di un posto, di un luogo, di un paese, la cucina è un elemento caratterizzante, perché racconta la storia di quel luogo, perché poi a mangiare vanno tutti. Durante una giornata di qualsiasi ospite, spostatosi per motivi di lavoro o per motivi di svago, la cucina è una tappa che deve fare. Quindi secondo me ha un ruolo fondamentale. Per quanto riguarda la struttura ricettiva, io penso che nella mia idea il ristorante diventerà la locomotiva, perché riuscirà a dare una visibilità del nostro concetto del Cala Cala, che altrimenti con le stanze possiamo far vedere solo nelle colazioni: quindi il ristorante darà al tutto una dimensione più completa.

C: Con tutte le esperienze che hai avuto nel settore della ristorazione procidana, puoi dirmi secondo te com’è cambiato l’approccio con la gastronomia da proporre al pubblico sulla nostra isola, se è cambiato?

S: L’approccio con la gastronomia è cambiato, e lo posso dire anche da ospite, da cliente dei ristoranti di Procida, perché c’è sempre una maggiore attenzione alla creazione di un piatto differente, a differenza degli anni passati, dove si faceva una cucina marinara spontanea che comunque aveva un suo perché: noi abbiamo la fortuna di avere la paranza, che come dice il buon Pio, dovrebbe essere patrimonio dell’UNESCO e sempre visitabile (noi con la paranza non abbiamo il pesce fresco, ma il pesce vivo, che fa una differenza sostanziale!). Comunque la cucina marinara resta sempre la base della cucina procidana. Però c’è un’attenzione maggiore verso la proposta di un piatto più curato, partendo sempre da quella materia prima. Le nuove generazioni stanno cercando di professionalizzarsi, mentre prima la ristorazione era affidata più che altro a ex marittimi, o a persone che si erano “improvvisate”, ma improvvisate solo perché non avevano studiato per quello. Da questo punto di vista, quindi, le cose stanno cambiando in meglio.

La cosa che non riusciamo ancora a fare è quella di strutturarci come imprese annuali, in modo da poter garantire lavoro per tutto l’anno e quindi avere dei collaboratori validi. Siamo sempre costretti a ricorrere al ragazzino che va all’università e che non ha nessun interesse per questo lavoro e lo fa solo per guadagnarsi la cosettina di soldi per uscire con la fidanzata, per andare a ballare e quindi, purtroppo, da quel punto di vista, c’è un distacco tra cucina e sala. Tant’è vero che noi dell’associazione operatori turistici, per tanti anni e tanti anni fa, facemmo una proposta di far venire una sezione della scuola alberghiera a Procida, proprio per iniziare a partire dal fatto che uno per lavorare si deve mettere una divisa, non è che si lavora con il jeans e la camicia con cui si è usciti la sera prima, ecc.. ecc…       

C: Invece tra voi fratelli come vi organizzate nella gestione della struttura?

S: Noi siamo 3 fratelli, ci siamo divisi un po’ i compiti: io gestisco il ristorante, mio fratello Angelo (il secondo) gestisce la parte ricettiva e Lucio, il più piccolo, si occupa del giardino. Questa organizzazione ci consente di far camminare di pari passo tutt’e tre le cose e queste tre cose sono interscambiabili e hanno quindi un’importanza equa. Anche noi, al nostro interno, dobbiamo arrivare a essere interscambiabili, però ci vuole un po’ più di tempo.

C: Che valore trasmettete sulla cucina ai bambini di famiglia?

S: Mia moglie dice che parlo troppo anche con loro, ma io sono convinto di doverlo fare per trasmettere loro determinate cose e quindi per me è fondamentale, perché l’approccio all’alimentazione oggigiorno è diventato importantissimo, proprio a livello salutare, quindi si deve iniziare proprio dai bambini.   

C: La ultime 2 domande sono un po’ comuni per tutti quanti: a cosa ti fa pensare l’espressione “Amma cucenà”?   

S: L’espressione “amma cucenà” mi fa pensare a quando ci si vede tra gli amici e si dice “c’amma cucenà stasera?” Oppure è ancora più primordiale, perché come diceva il grande chef Antonino Cannavacciuolo: i napoletani mentre pranzano già parlano di cosa “anna cucenà” la sera. Quindi quest’espressione ha un aspetto sia primordiale che conviviale. 

C: Per finire, puoi scegliere una canzone che associ a momenti di cucina che poi la metto a chiusura dell’intervista? Mi hanno detto di tutto, quindi scegli con grande libertà

S: Non mi ricordo i nomi, perché non ho una grande memoria per i titoli delle canzoni… “Il canto libero” di Battisti, se non sbaglio.

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