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Il bel ricordo della pizzeria da Mundino raccontato da suo figlio Nicola per cuoc@ nostrom@ di maggio

Ci sono posti che hanno fatto la storia di Procida. Ci sono posti che si fa fatica a ricordare, perché ora sorge un supermercato uguale ad altri supermercati dove prima c’era un vero e proprio tempio della pizza procidana: era un posto alla mano, senza pretese, sempre accogliente. Era uno dei posti preferiti della mia famiglia per andare a mangiare la pizza e anche per portarci persone che venivano a trovarci da fuori. Il mago pizzaiolo di questo posto era Bernardo Scotto Di Vettimo, detto Mundino e suo figlio Nicola, in una interessante e divertente videochiamata Lille-Madrid ha accettato il mio invito a ricordarlo su Amma Cucenà. Ecco la piacevole chiacchierata che ne è venuta fuori.

Cucenellista: Mi puoi parlare del ristorante, com’è nato e come si è evoluto nel tempo?

Nicola: La storia del ristorante è veramente incredibile, non dico da scriverci un libro, ma quasi. La pizzeria è nata nel 1980 – teniamo presente che a Procida, in quel momento, forse ce n’erano 2 o 3 di pizzerie, non di più. 

Perché nasce? Mio padre viveva negli Stati Uniti e a un certo punto ha deciso di tornare a Procida, quindi io nasco in Italia, mio padre, nonostante avesse acquisito la cittadinanza statunitense, decide di tornare a Procida e non vuole più vivere lontano, preferisce stare con i suoi genitori.. 

Dal 77 al 79, negli Stati Uniti, mio padre ha lavorato nelle pizzerie italiane ed è lì che ha imparato a fare la pizza.

Bernardo “Mundino”, papà di Nicola, all’opera – Foto dell’archivio di famiglia Scotto di Vettimo

Sostanzialmente, lui torna in Italia e dice, a mio nonno paterno (che si chiamava Nicola come me): “papà, io sono tornato in Italia ma devo fare qualcosa, non posso stare senza fare niente, devo lavorare”. C’era questo terreno vuoto – non c’era niente – e mio nonno dice “vabbè, a questo punto, perché non ci facciamo una pizzeria?” Mi viene in mente, naturalmente con tutte le difficoltà che c’erano all’epoca per metterla su… Così nasce la pizzeria, ma teniamo presente che in quel momento c’erano le tende, non c’era la struttura in muratura, quindi si lavorava solo d’estate. Ricapitolando, io sono nato nel ‘79 e la pizzeria è nata nell’80 (siamo quasi coetanei). Piano piano il locale è cresciuto: tieni presente che nell’82-’83 la cucina della pizzeria era la casa di mia zia: adesso al posto della pizzeria di un tempo c’è un supermercato, quindi è difficile visualizzare, ma il forno era da un’altra parte e la cucina era a casa di mia zia.

La pizzeria comincia poi ad avere successo anche perché a Procida, se ci ricordiamo un po’, a partire dalla seconda metà degli anni ‘80 ma già dall’’84-’85 inizia la prima vera ondata turistica: iniziano a venire molti napoletani, non ricchssimi, ma una buona borghesia napoletana. Ne ho visti tanti di dottori, medici, architetti, ingegneri… Insomma, questi napoletani villeggiavano come si villeggiava prima: venendo a Procida per un mese, due mesi. Poi iniziarono a venire torinesi, genovesi, fiorentini. E poi se tu li vedevi li riconoscevi pure, perché erano diventati procidani acquisiti. Con questo afflusso di turismo importante il ristorante ebbe grande beneficio, perché all’epoca aveva quasi 250 posti a sedere. Certo, la struttura non era bellissima, perché poi sappiamo tutte le difficoltà: te fanno fa, nun te fanno fa, un pezzo così e un pezzo smontabile, vabbè, figurati con la burocrazia che c’era se ti facevano fare tutto da zero normale… Però alla fine dei conti la pizzeria è cresciuta e papà aveva questa filosofia secondo la quale, essendo in un posto non centrale doveva avere un rapporto con il cliente più stretto, più familiare. Doveva avere un’attenzione per il cliente più particolare, anche dal punto di vista del prezzo perché il cliente poi doveva tornare: questo valeva ovviamente per il procidano – lui diceva sempre “io d’estate non faccio pagare di più a un procidano, perché poi mi deve tornare d’inverno” – ma anche con i turisti. Era questa un po’ la filosofia: avere un trattamento familiare. Però il punto di forza era la pizza, questo senza ombra di dubbio e papà – non mi chiedere come, perché io non ho mai voluto impararlo per evitare di farlo – aveva una formula tutta sua per l’impasto. Perché oggi, tu sai, la farina ti arriva già mescolata, invece in pizzeria la faceva lui la mescola: aveva il suo rituale, teneva ‘na pignata che secondo me teneva 40 anni, però era quella lì, con quella misura. Poi faceva un’altra cosa che molte pizzerie non fanno: nel pomodoro, per esempio,ci metteva un po’ di zucchero, per attenuarne l’acidità. Ci sono a volte pizzerie dove tutto sommato l’impasto è buono ma il pomodoro è acido: molti non aggiungono lo zucchero. C’erano tanti piccoli accorgimenti che rendevano il prodotto buono e facevano in modo che piacesse. Riscuoteva un grande successo e poi mio padre si inventava sempre delle cose. Una cosa che mi colpiva molto è che era svelto! 

Forno della pizzeria – Foto dell’archivio della famiglia Scotto Di Vettimo

Non conosco i numeri che fanno le pizzerie oggi a Procida, ma negli anni ‘80 mio padre, in una sera, era capace di fare 350 pizze. Quando sento oggi “aggio fatto 150 pizze”, io penso “nun hai fatto niente, stiamo scherzando”. Mio padre era veloce, ovviamente aveva qualcuno che sfornava. C’era Nunzio che sfornava, che era un tuttofare: faceva il muratore, sfornava le pizze… Era un artista, uno di quei personaggi che oggi non esistono più. Poi ci fu anche un periodo in cui lavorò bene Salvatore Imputato (lavora al comune, è di Solchiaro), poi c’era uno zio di mio padre che dava anche lui una mano. Il grosso però lo faceva mio padre, era svelto, il prodotto era buono e riscuoteva un certo successo.   

Poi per la cucina c’era mia madre che faceva una cucina napoletana casareccia: parmigiana di melanzane al primo posto, piacevano molto i suoi arancini, i crocchè. A un certo punto andava di moda anche la polpetta di melanzane.

C: L’impepata di cozze pure, mi ricordo…     

N: Sì, l’impepata di cozze con le cozze di Procida almeno fino agli anni ‘80, poi non è stato più possibile, bisognava comprarle… Però era un’impepata di cozze fatta bene, fatta al momento… Quindi non piatti sofisticati ma semplici e buoni, con prodotti di buona qualità che alla gente piacevano.     

Noi non facevamo tanto la cucina tipo spaghetti all’astice, spaghetti al riccio… No, queste cose non le facevamo… Era più una cucina semplice quindi, sicuramente la pizza come punto di riferimento, poi ci mettevi vicino un crocchè, un arancino, una polpetta di melanzane, una parmigiana di melanzane, un’impepata di cozze. Tanta gente mangiava la pizza e poi l’impepata di cozze.

C: Sì, per noi era un classico quando andavamo da tuo padre: pizza e impepata di cozze!  

N: Poi ti potevi prendere un gelato dopo. C’erano anche dei primi piatti, ma anche lì vigeva la semplicità: c’era lo spaghetto a cozze, lo spaghetto a vongole, le linguine alla puttanesca che avevano molto successo, la mozzarella in carrozza… un fritto sfizioso, non difficile, ma in genere la gente non è che in casa si mette e si fa la mozzarella in carrozza, quindi dice vabbè, andiamo al ristorante e ci mangiamo la mozzarella in carrozza. Tutto sommato mangiavi delle cose buone, con prodotti genuini a prezzi totalmente ragionevoli, non era caro per niente! Per carità, i tempi sono cambiati e io non giudico: però vai a mangiare adesso a Procida e ti costa di più, molto di più. Certo, le cose sono cambiate… pensa che all’epoca non esisteva il servizio e il coperto. Oggi il servizio e coperto c’è dappertutto, e vabbè, lo capisco.

C: Ricordo una squadra sempre molto affiatata in quel ristorante. Chi erano i perni di questo gruppo e come era distribuito il lavoro?

N: I perni ovviamente erano mia madre e mio padre, però poi da quel ristorante è passata la meglio gioventù procidana: tanti ragazzi negli anni ‘80 che facevano i camerieri per i tanti tavoli. Avevano sempre il sorriso sulle labbra, ci divertivamo, si finiva di lavorare e si mangiava fino alle 2-3 di notte. Questi ragazzi lavoravano con passione, lo facevano per pagarsi le loro cose, ma ci si divertiva. Era un ambiente gioviale, giocoso, si mangiava insieme la sera. Il 20 agosto era San Bernardo e si faceva una grande tavuliata alle 2 di notte, con coniglio e ‘ste cose qua. Io poi davo una mano un po’ da tuttofare, poi ho preso la mia strada. Negli anni 80 anche i miei nonni paterni aiutavano parecchio.

Interno della pizzeria “Da Mundino” – Foto dell’archivio della famiglia Scotto Di Vettimo

C: Quali sono i tuoi ricordi d’infanzia più belli legati al ristorante?

N: Io ero un po’ la mascotte: nell’87-88 avevo 7-8 anni (non lavoravo, eh, attenzione!) però non esisteva la babysitter e io giocavo con i figli dei clienti nel parcheggio della pizzeria, giocavamo in mezzo alle macchine… Oggi avrebbero chiamato il Telefono Azzurro, ma noi giocavamo a nascondino in mezzo alle macchine, oppure prendevamo un limone verde, facevamo una porta e giocavamo a pallone mentre i genitori degli altri bambini erano seduti a mangiare al ristorante. I figli dei clienti erano di qualsiasi estrazione sociale che tu possa immaginare, era tutto mischiato… Forse oggi non è più così, era una fotografia dell’Italia, c’era di tutto: dal professionista a quello di dubbia provenienza, ci si mischiava! 

Poi, un altro ricordo bello erano le tavolate a fine serata, dove si mangiava tutti insieme: si faceva tardi, si facevano le 3h le 4h.

C:  Secondo te qual è stato il punto di forza del ristorante, per farlo resistere tanto nel tempo?

N: Il ristorante è durato 36 anni, fino a quando mio padre purtroppo è venuto a mancare. Diciamo che il punto di forza era che mio padre trattava bene i procidani. In secondo luogo, c’era una clientela affezionata, anche di persone che venivano da fuori: ci si affezionava al posto, al mangiare, si scambiava una chiacchiera. Era come stare in famiglia. Non si andava a mangiare in maniera fredda, era qualcosa di più caloroso.  

C: Quali sono i ricordi più belli che altre persone hanno del ristorante?

N: Ci fu un momento in cui si facevano tante prime comunioni (anni 80 e 90) e di quelle ci si ricorda ancora: c’erano delle comunioni che erano dei matrimoni, tipo con 100 persone [rido]. Anche le feste di compleanno hanno lasciato un bel ricordo. Tutti hanno il ricordo di mio padre. Poi c’erano gli habitué che andavano a prendersi la pizza da mio padre per portarla a casa e la gente amava quel rito, perché chi diceva una cosa, chi ne diceva un’altra, se ne dicevano di tutti i colori, allora era anche un modo per stare lì 20 minuti e chiacchierare con mio padre mentre stava lavorando. Si parlava di tutto, di quello che succedeva a Procida, era divertente tutto questo. Di alcuni clienti mio padre si ricordava addirittura le pizze, si creava una situazione di vicinanza.

C: Mi ricordo, pure noi ci andavamo spesso.

N: Oggi è diverso, c’è un rapporto più freddo, ma anche a Procida. 

C: Come trasmetti ai tuoi bambini i valori legati alla cucina?

N: Evidentemente loro hanno la fortuna di tornare a Procida e mia madre è ancora in vita, quindi apprezzano il cibo di mia madre, il nostro cibo,i in fin dei conti, il cibo procidano: le polpette, il ragù -uno dice, vabbè le polpette le puoi mangiare da qualsiasi parte… Però, buone come a Procida è difficile trovarle.

C: Magari pure con i pomodori di orto…

N: Effettivamente… Poi mangiano i carciofi. Li avvantaggia molto il fatto di tornare in Italia, a Procida e si rendono conto della differenza. Qui a Madrid, presi dallo stress e da varie cose, col mangiare facciamo quello che possiamo, invece quando vanno a Procida è tutta un’altra cosa, lì apprezzano molto la materia prima. 

C: E la doppia cultura culinaria come la coltivate in casa?

N: Allora, mia moglie è uruguaiana, quindi ovviamente la carne è predominante nella sua cucina. Ogni anno e mezzo vado in Uruguay e “el asado” (la cottura della carne col carbone) è straordinario. In Italia, per mangiare una carne così forse devi andare in Toscana. I bambini, della cucina di mia moglie, quindi, apprezzano molto il modo in cui fa la carne, che è un po’ diverso dal nostro, e della cucina di Procida apprezzano più il pesce, le verdure e poi le polpette. Paradossalmente vedo che gli piace meno il mangiare spagnolo, forse perché è meno raffinato rispetto al nostro… Trovo la cucina spagnola non male, però un po’ grezza, con troppo olio… La nostra è una cucina più asciutta. 

I bimbi apprezzano i nostri dolci, ma in Uruguay c’è il dulce de leche che è una specie di crème caramel…

C: Sì, col latte condensato… 

N: Esatto, e loro lo amano molto ed è un po’ come se fosse la nutella quindi lo mettono dappertutto…

C: E coi bambini parli mai del ristorante?

N: Come no! Mia figlia ha conosciuto il ristorante perché è nata nel 2010 e mio padre è venuto a mancare nel 2016. Lei quindi ha dei ricordi di quel periodo di quando aveva 4-5 anni. Mio figlio non se lo ricorda però io ne parlo sempre, ovviamente. 

C: A cosa ti fa pensare l’espressione “Amma cucenà”?

N: Mi fa pensare a mia nonna, che non c’era neanche bisogno di dirglielo [ride], a mezzogiorno “metteva mano”. Anche perché tu sai, a Procida, massimo all’una si mangia. 

C: È vero, sì, soprattutto se confrontiamo con la Spagna poi…

N: Sì quindi Amma cucenà mi fa pensare a mia nonna, la madre di mio padre, che faceva la famosa bobba…

C: C’è invece un’espressione procidana a cui sei particolarmente legato?

N: Mi vengono in mente “re carcioffe ndurate e fritte” oppure “vulite nu panzarotto” . Prima si diceva “puorteme tre panzarotti” .

Poi papà faceva il saltimbocca, che iniziò a fare agli inizi degli anni ‘90 (a Procida non lo faceva nessuno in quel momento), perché Salvatore Imputato (Faiuolo), non so per quale strano motivo, capitò a Vico Equense e disse “ho visto a chiste ca pigghiava a pagnotta, a faceva cresce…” non esisteva internet, quindi fu un’idea che lui portò da Vico Equense… Prima, per afferrare un’idea nuova ti dovevi spostare fisicamente e lui ispirò mio padre che iniziò a fare questi saltimbocca. Negli anni 90 ne facevamo 30-40 a serata.

C: Non credo di ricordarlo, com’era fatto? 

N: Prendi la pagnotta e la stendi un po’, la prendi la metti nel forno e nel forno cresce, quindi la tiri fuori, la apri col coltello e la farcisci con quello che ritieni opportuno… mozzarella, prosciutto cotto, prosciutto crudo… poi la chiudi, la rimetti nel forno 30 secondi per far sciogliere la mozzarella e servi. Adesso non lo vedo nei menù delle pizzerie. Il problema è che ti fa perdere tempo, ma negli anni 90 si faceva molto. 

C: Una canzone che ti fa ricordare il ristorante dei tuoi? 

N: Oh mamma mia e che canzone devo dire… Ci devo pensare..

C: La prima che ti viene in mente.

N: Prima, quando c’era il festival di Sanremo e al ristorante c’era la tele, tutti seguivano accanitamente e volevano sapere chi aveva vinto, poi a un certo punto non se lo filava più nessuno… Chi c’era al festival di Sanremo all’epoca…

C: Che ne so, Peppino di Capri [rido]

N: C’era Roberto Murolo con Mia Martini, ricordo di averli visti in tv al ristorante…

C: Sì loro avevano fatto una canzone insieme, ma non per Sanremo, se vuoi mettiamo quella

N: C’era mio nonno che era un grande estimatore di musica napoletana… Oppure mi ricordo i mondiali del 90, quando vedevamo le partite al ristorante e c’era la canzone dell’evento.

C: Vuoi che mettiamo quella?
N: Sì, vada per “Notti magiche”

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