pasta mista con pescato di paranza amma cucenà

Pasta mista con pescato di paranza

Chiedere mezz’ora di permesso senza dare spiegazioni mentre si sta in teleworking cu’ i francisi o prendere lo stesso tempo in una giornata di ferie solo e semplicemente per…. andare alla paranza da Solchiaro alla Marina! Eh sì, ci sono riti che proprio non si possono spiegare. Dal lunedì al venerdì, verso le 15h-15h15 – tranne tra settembre e ottobre, che ci sta il fermo biologico – si parte e si va a vedere cosa si è pescato ed esposto nei cascettini e nei polistiroli della paranza. “Muvimmece ca sinò nun truvamme cchiù niente!”* esortava mio padre abbottonando l’ultimo bottone della camicia a quadri p’ascì (per uscire) indossata rigorosamente ogni volta che si andava alla paranza d’estate.

Papà riconosceva a vista la freschezza del pescato. Se aveva dubbi, prendeva in disparte me e mia madre, sempre in prossimità del cascettino sospetto, e diceva “‘sti pisce u piscatore ca r’a pischéte è muorto re vicchiaia”**: la sentenza che avrebbe catapultato i nostri occhi speranzosi su altri cascettini.

Cicaredde (canocchie), cuocci (gallinelle di mare), tutanieddi, miezzi pisce (triglie, merluzzetti e suaci), alici, secce (seppie) e pulepetiéddi sono una costante nei cascettini in bella mostra sul banco della paranza. C’è solo l’imbarazzo della scelta. 

Quest’estate mi sono recata un paio di volte alla paranza per provare a riprodurre, personalizzandola, una pietanza che non ebbe origine sull’isola di Ponza, bensì a Ventotene o, almeno, non so se è proprio nata sull’isoletta, visto che è proposta da vari chef nazionali, ma io l’ho assaggiata lì la prima volta.

Si tratta di una pasta mista di mare che il ristorante il Giardino a Ventotene preparava l’anno scorso, ad agosto, con pesci di scoglio. La mia versione è con pescato di paranza e, come tutti i piatti che si provano a riprodurre per prolungare le atmosfere di un posto o di una stagione, è un po’ come l’estate che trasciniamo verso le soglie dell’autunno, insieme all’asciugamano verso riva, a Cala Nave, dalle cinque in poi, per prendere l’ultimo pezzetto di sole del pomeriggio, insieme agli ultimi raggi di tepore settembrino.

Spiaggia Cala Nave a fine pomeriggio (settembre 2021) – Foto by @Cucenellista

Preparare la pasta mista a distanza di tempo e spazio dal primo assaggio è anche come alzare lo sguardo per vedere tra una stella e l’altra quel puntino luminoso e mobile che sta diventando la mongolfiera lanciata poco prima, durante la novena di Santa Candida, è guardare nostalgica e incantata i lineamenti del fratello della nonna trascinare e calcare quelli di lei, da Ventotene a Procida, da Procida a Ventotene.   

Una delle mongolfiere (u pallone) lanciate durante la novena di Santa Candida dal 10 al 20 settembre, giorno della Santa (settembre 2021) – Foto by @Cucenellista

Più che legittima, quindi, quella mezz’ora di latitanza – per cui si è comunque chiesto permesso – per recarsi alla paranza a procurarsi gli ingredienti fondamentali di questa ricetta. Una volta scelto il pescato e di ritorno a casa, mani alle forbici e fruvicini (forbicette) per la pulitura, attività meditativa da me sempre molto apprezzata, come a ripetere i gesti precisi e lenti della nonna. Di quella nonna di Ventotene. 

Ingredienti per 4 persone

  • ⅕ kg di cicaredde (canocchie)
  • 3 calamari medi
  • 3 cuocci (gallinelle di mare)
  • Una manciata di totanetti (se disponibili)
  • 300 grammi di pomodori datterini
  • 5-6 pomodorini per il brodo
  • 6 cucchiai di olio EVO
  • Mezzo bicchiere di vino bianco
  • Due spicchi d’aglio
  • Peperoncino se gradito o pepe nero q.b
  • Un ciuffetto di prezzemolo
  • 400 grammi di pasta mista

Procedimento

Una volta pulito e sciacquato tutto il pescato, disporre le canocchie intere in una pentola e farle saltare 3-4 minuti a fuoco lento fino a quando non diventano rosacee. Farle raffreddare e sgusciarle. Separare la polpa dai gusci e le teste che andranno conservati. Mettere gusci e teste in una pentola media piena d’acqua (il necessario per preparare un brodino), aggiungere 5-6 pomodorini, uno spicchio d’aglio, un po’ di prezzemolo e un pizzico di sale. Lasciare il tutto sul fuoco a fiamma bassa per almeno un’ora.

In una padella antiaderente mettere 6 cucchiai di olio EVO, uno spicchio d’aglio, una punta di peperoncino se gradita e 300 grammi di pomodori datterini tagliati a metà. Lasciare appassire i pomodori a fiamma bassa per 7-8 minuti. Aggiungere i cuocci interi e i totanetti, sfumandoli a fiamma alta con mezzo bicchiere di vino bianco. Abbassare di nuovo la fiamma e lasciare cuocere per 10-15 minuti. 

Pulire e aprire i calamari che saranno grigliati mentre la pasta si cuoce.

Fasi del procedimento della ricetta: dall’alto a sinistra, i cuocci, a destra le cicarelle, in basso a sinistra il brodino con i gusci di cicarelle e, a destra, il calamaro grigliato – Foto by @Cucenellista

Prelevare i cuocci dalla padella e spolparli facendo attenzione a eliminare tutte le spine. Mettere le polpe di nuovo nella padella col sugo e i totanetti. Aggiungervi anche la polpa di cicarella preparata precedentemente. 

Filtrare il brodo di cicarelle, portarlo a ebollizione e cuocervi la pasta mista senza completarne la cottura. Quando la pasta è in una fase precedente alla cottura al dente (assaggiare), prelevarla con una schiumarola e terminare la cottura nel sughetto a fiamma bassa. Aggiungere del brodo di cicarelle se risulta asciutta. Mentre si effettua questa fase, grigliare i calamari e tagliarli a striscioline: bastano 1-2 minuti, na vuciata e na girata sinò addiventa tuosto***.

Quando la pasta risulta al dente e il calamaro è grigliato e tagliato, impiattare decorando ogni porzione con striscioline di calamaro e ciuffetti di prezzemolo fresco.

La colonna sonora di questo post è la Paranza, perché, latitanza dai francisi a parte, è la canzone che mi parte in testa ogni volta che devo andare alla paranza a Procida, anche se le prossime volte che preparerò questa ricetta, ascolterò soprattutto Peppino ‘o suricillo per ricordare le serate di piazza Castello nell’ultimo settembre ventotenese.

Muvimmece ca sinò nun truvamme cchiù niente!”* : Sbrighiamoci altrimenti non troviamo più niente (riferito al pescato del giorno da acquistare presso la paranza).

‘Sti pisce u piscatore ca r’a pischéte è muorto re vicchiaia”**: Questi pesci il pescatore che li ha pescati è morto di vecchiaia.

Na vuciata e na girata sinò addiventa tuosto***: Girare velocemente da una parte all’altra altrimenti si indurisce.

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